I Pedocca detennero il castello di San Martino, ma dovettero stare molto in campana, come si suol dire, perché le famiglie egemoniche nemiche non ci vedevano di buon occhio.
Ed ecco il fattaccio. Correva l’anno 1390 (il fatto è narrato in Cronologia ecclesiastica di Mirandola”, di Tabarelli e Piccinini, pubblicato nel 1775, alle pagine 144 e 145. Vedi anche l’archivio Curia Vescovile di Reggio Emilia e le Memorie storiche della città e dell’antico Stato della Mirandola, tipografia Cagarelli, 1872, Volume II.
L’assassinio fu così ben congegnato che Spinetta Pico, un capitano senza scrupoli (il quale resse Mirandola con i fratelli Francesco e Prendiparte dal 1394 al 1399, testando in quest’ultimo anno), presentandosi al castellano di San Martino Spino con il corpo esamine di Francesco Pedocca, da lui infilzato a Quarantoli, gridò alla disgrazia, ma con uomini al seguito, tanto che aperto il ponte levatoio, imbrogliò guardie e famigliari del povero Francesco e si impossessò del castello. Ma della trama e del possibile e facile assassinio pianificato era stato informato Giangaleazzo, duca di Milano, che aveva dato parere favorevole. Tant’è che l’investitura, nata all’insegna della violenza di Spinetta, fu siglata pure dall’imperatore.
Giocoforza il vescovo di Reggio, visto che a Mirandola cresceva la potenza dei Pico, nel 1353 rese ufficiale la decisione di investire di quello che poi fu considerato il feudo di San Martino, Paolo Pico. Il castello fu distrutto perché pur utili i sanmartinesi erano considerati troppo amanti delle libertà. Come fu abbattuto il castello di Massa Finalese e la rocca di Cividale, spianata dai Pico nel 1344. I Padella erano anche signori di Cividale. Obizzo, invocato da tutti, promise di ricostruire il maniero di Portovecchio nel 1364. Evidentemente al suo posto furono alzati altri immobili, a servizio dei padroni, dei vescovi, e per la difesa.
Il feudo, rinnovabile ogni 29 anni, nei registri ha un suo stemma araldico. E’ con un albero di spine a sinistra, terra-cielo, con geometrie di rosso, azzurro, viola e argento. Un riconoscimento politico e alla chiesa. Tale stemma si trova a Modena, all’Estense, in una raccolta dei tempi di Francesco II Pico, nipote del filosofo Giovanni. E’ stato ripreso e commentato da Tusini e ancor prima dal Paltrinieri.
San Martino e Porto Vecchio divennero una specie di bancomat per Mirandola e Modena. Qui i pascoli erano fertili, l’agricoltura era fiorente, si allevavano i più forti e bei cavalli di Europa, i frutti della terra erano ottimi, le pescherie e i corsi d’acqua davano prodotti specialissimi e molto ricercati per cui il dominio, mal sopportato, durò tra alti e bassi fino al 1709, quando il duca Francesco Maria Pico, pieno di debiti, perdente in guerra dopo aver fatto il voltagabbana, accusato di fellonia (tradimento), fu cacciato da Mirandola e dovette andare in esilio a Madrid, per fare il badante e il servitore del re.
E a Madrid morì di idropisia, il 26 novembre 1747, non lasciando eredi, facendo sì che si estinguesse la linea diretta dei Pico. Era nato a Concordia il 30 settembre 1688. Aveva sposato Maria Spinola nel 1716 e Maria Fitz James Stuart nel 1743.
Autore: Sergio Poletti
Fonte: ricerca dell'autore